Cass. civ., sez. VI - 1, ord., 29 dicembre 2021, n. 41919 Presidente Bisogni – Relatore Mercolino
Cass. civ., sez. VI - 1, ord., 29 dicembre 2021, n. 41919
Presidente Bisogni – Relatore Mercolino
Rilevato che:
con Decreto 18 giugno 2018, il Tribunale di Palermo dispose, ai sensi dell'art. 710 c.p.c., la modifica delle condizioni stabilite nel giudizio di separazione personale tra i coniugi C.F. e I.W.A.G. , revocando l'assegnazione della casa coniugale a quest'ultima, riducendo ad Euro 450,00 mensili l'assegno posto a carico del primo a titolo di contributo per il mantenimento della figlia F. , maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente e convivente con la madre, e rigettando la domanda riconvenzionale, proposta dalla donna, di determinazione delle spese straordinarie sostenibili senza il consenso del coniuge;
che il reclamo proposto dal C. è stato rigettato dalla Corte d'appello di Palermo con Decreto 2 aprile 2020;
che avverso il predetto decreto il C. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, al quale la I. ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria;
che il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo non ha svolto attività difensiva.
Considerato che:
con il primo motivo d'impugnazione il ricorrente denuncia la nullità del decreto impugnato, per violazione e/o falsa applicazione dello art. 112 c.p.c., osservando che la Corte d'appello ha omesso di pronunciare in ordine al motivo di reclamo concernente la revoca dell'assegnazione dell'arredo della casa coniugale, avendo qualificato la relativa domanda come domanda restitutoria, in realtà mai proposta, ed essendosi conseguentemente limitata a rilevarne l'estraneità alla competenza funzionale del giudice della separazione;
che il motivo è inammissibile;
che ai fini della configurabilità del vizio di omessa pronuncia è infatti necessaria la totale pretermissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ravvisabile allorquando il giudice abbia omesso di decidere sia pure implicitamente in ordine a una domanda o un'eccezione ritualmente introdotta in giudizio, il cui esame non possa ritenersi assorbito da altre statuizioni (cfr. Cass., Sez. III, 29/01/2021, n. 2151; Cass., Sez. VI, 4/06/2019, n. 15255; Cass., Sez. lav., 26/01/2016, n. 1360);
che nella specie il motivo di reclamo con cui era stata richiesta la revoca dell'assegnazione dell'arredo della casa coniugale è stato invece dichiarato espressamente inammissibile dal decreto impugnato, il quale, come riconosciuto dalla stessa difesa del ricorrente, ha qualificato la predetta domanda come una "richiesta di natura reale", estranea alla competenza funzionale del giudice della separazione e proponibile nelle forme previste per il rito ordinario di cognizione;
che, nel contestare la predetta qualificazione, il ricorrente censura l'interpretazione della domanda, la quale, risolvendosi in un giudizio di fatto, costituisce un'operazione riservata al giudice di merito, il cui risultato è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, nei limiti in cui tali vizi sono ancora deducibili come motivi di ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. VI, 3/12/2019, n. 31546; Cass., Sez. I, 17/11/2006, n. 24495);
che i predetti vizi non sono stati in alcun modo dedotti dal ricorrente, il quale si è limitato ad insistere sulla riconducibilità della censura proposta alla domanda di revoca dell'assegnazione della causa coniugale, già accolta dal Giudice di primo grado, senza neppure spiegare le ragioni per cui tale statuizione non si estende all'arredo, e richiamando anzi l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, contrastante con il proprio assunto, secondo cui il diritto di uso dei mobili che arredano la casa coniugale, in quanto strumentale al godimento dell'immobile, è destinato a cessare quando l'assegnatario ne perda la disponibilità, con la conseguenza che il coniuge che è stato privato del godimento di tali mobili può reclamare quelli di sua appartenenza esclusiva o chiedere la divisione di quelli comuni (cfr. Cass., Sez. I, 14/02/1986, n. 878; 9/12/1983, n. 7303);
che con il terzo motivo, il cui esame risulta logicamente prioritario rispetto al secondo, il ricorrente lamenta la nullità del decreto impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., osservando che la Corte d'appello ha omesso di pronunciare sul motivo di reclamo con cui era stata dedotta l'omessa comparazione delle situazioni economiche delle parti, ai fini della riduzione dell'assegno di mantenimento;
che il motivo è infondato;
che, indipendentemente dall'esame delle censure riguardanti la correttezza giuridica e la logicità del ragionamento svolto nella decisione di primo grado, nella parte avente ad oggetto la modifica dell'assegno di mantenimento determinato in sede di separazione, la Corte d'appello non ha affatto omesso di statuire in ordine alla domanda di riduzione proposta dal ricorrente, avendone confermato l'accoglimento parziale, nella misura già stabilita dal Tribunale;
che tale statuizione, logicamente incompatibile con l'accoglimento delle predette censure, deve considerarsi sufficiente ad escludere la sussistenza del vizio di omessa pronuncia, non configurabile allorquando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità, pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. Cass., Sez. III, 29/01/2021, n. 2151; Cass., Sez. I, 9/05/2007, n. 10636);
che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 337-ter c.p.c., rilevando che, ai fini della rideterminazione dell'assegno di mantenimento, il decreto impugnato ha omesso di procedere ad una valutazione comparativa delle situazioni economiche delle parti, risultanti dalla relazione depositata dal c.t.u. nominato in primo grado, essendosi limitato a prendere in esame i redditi ed il patrimonio di esso ricorrente;
che, ai fini della valutazione delle esigenze economiche della figlia, la Corte d'appello si è inoltre limitata a dare atto della crescita della stessa, senza considerare che successivamente all'assegnazione della causa in decisione F. ha completato gli studi universitari e ha intrapreso la pratica forense presso lo studio di esso ricorrente;
che la Corte d'appello ha infine omesso di valutare la riduzione dei compiti di assistenza gravanti sulla I. , per effetto dell'età ormai raggiunta dalla figlia, nonché gli effetti economici negativi dell'emergenza sanitaria da Covid-19, sopravvenuta nelle more tra la chiusura della discussione e il deposito del decreto impugnato;
che il motivo è parzialmente fondato;
che, in tema di separazione personale dei coniugi, l'efficacia di giudicato da riconoscersi, sia pure rebus sic stantibus, alle condizioni economiche stabilite dalla relativa sentenza alla stregua della situazione di fatto esistente all'epoca della sua pronuncia comporta che, nel caso in cui venga proposta domanda di revisione delle predette condizioni, ai sensi dell'art. 710 c.p.c., non può procedersi ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti, dovendosi innanzitutto verificare, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, se l'equilibrio economico risultante dalla predetta decisione risulti alterato a causa della sopravvenienza di nuove circostanze che non avrebbero potuto essere tenute presenti in quella sede, ed in caso positivo provvedere all'adeguamento dell'importo dell'assegno o dello stesso obbligo di contribuzione, in relazione alla nuova situazione patrimoniale (cfr. Cass., Sez. I, 30/ 09/2016, n. 19605; 27/08/2004, n. 17136; Cass., Sez. VI, 20/06/2014, n. 14143);
che tale principio, enunciato in riferimento all'assegno dovuto per il mantenimento del coniuge, trova applicazione anche a quello stabilito per il mantenimento dei figli minori o di quelli maggiorenni ma non ancora economicamente autosufficienti, il cui importo deve risultare idoneo a garantire all'a-vente diritto la soddisfazione di molteplici esigenze non limitate al solo aspetto alimentare, ma estese anche a quello abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, in misura adeguata alla sua età e al tenore di vita della famiglia, quale può desumersi dalla valutazione delle risorse economiche disponibili da parte di entrambi i genitori (cfr. Cass., Sez. VI, 11/01/2016, n. 214; 18/09/2013, n. 21273; Cass., Sez. I, 19/03/2002, n. 3974);
che tali principi, più volte ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, non possono ritenersi correttamente applicati dal decreto impugnato, il quale, preso atto della riduzione dell'assegno dovuto dal ricorrente per il mantenimento della figlia, già disposta dal Tribunale alla luce dell'intervenuta modificazione della situazione di fatto esistente all'epoca della pronuncia della sentenza di separazione, ha confermato tale statuizione sulla base di considerazioni riguardanti esclusivamente la situazione reddituale e patrimoniale del C. , come accertata dal c.t.u. nominato in primo grado, omettendo di procedere al necessario confronto tra le risorse economiche in possesso di quest'ultimo e quelle disponibili da parte dell'I. , al fine di verificare se si fosse in concreto verificata l'alterazione dell'equilibrio risultante dalla predetta sentenza, fatta valere dal ricorrente a sostegno della domanda proposta in primo grado, e ribadita in sede di reclamo;
che il decreto impugnato non merita invece censura nella parte in cui ha omesso di prendere in considerazione gli effetti economici conseguenti al completamento degli studi da parte della figlia del ricorrente ed alla diffusione dell'epidemia da virus Covid-19, trattandosi di circostanze verificatesi successivamente all'assegnazione della causa in decisione, che non possono quindi costituire oggetto di esame neppure in questa sede, e la cui incidenza sulle esigenze dell'avente diritto all'assegno e sulla situazione reddituale e patrimoniale dei genitori potrà essere eventualmente valutata nel giudizio di rinvio, quale fatto nuovo, incidente sulla posizione delle parti, e non suscettibile di utile allegazione nelle precedenti fasi processuali (cfr. Cass., Sez. lav., 22/ 03/2013, n. 7301; Cass., Sez. III, 29/08/2011, n. 17690; Cass., Sez. I, 30/ 10/2003, n. 16294);
che la sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dalle censure accolte, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'appello di Palermo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, rigetta il terzo, accoglie il secondo, per quanto di ragione, cassa il decreto impugnato, in relazione alle censure accolte, e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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