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Sentenza

Provvedimento di assegnazione della casa coniugale non trascritto e opponibilità ai terzi
Provvedimento di assegnazione della casa coniugale non trascritto e opponibilità ai terzi
Cass. civ., sez. III, sent., 15 aprile 2022, n. 12387

Presidente Vivaldi - Relatore Porreca 

Fatto e diritto

Rilevato che:

S.G. ricorre, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza n. 808 del 2019 della Corte di appello di Torino esponendo che: - con ordinanza presidenziale del 2 luglio 2010, nel giudizio di separazione personale da O.S.M., le era stata assegnata la casa coniugale quale genitore affidatario della figlia minore C.; - il provvedimento non era stato trascritto; - aveva ricevuto notifica di un decreto di liberazione dell'immobile ex art. 560 c.p.c., commi 3 e 4; - si era dunque opposta al decreto in parola deducendo l'opponibilità del suo titolo di godimento; - il giudice dell'esecuzione aveva accolto l'istanza di sospensione ritenendo opponibile l'assegnazione non trascritta nei limiti infranovennali, a mente del combinato disposto dell'art. 1599 c.c., comma 1, art. 2643 c.c., n. 8, nonché della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, u.p.; - il Collegio, in sede di reclamo, aveva rovesciato la decisione, in ragione della novella di cui all'art. 155-quater c.c., infine applicabile ex art. 337-sexies c.c.; - il Tribunale aveva accolto l'opposizione, condividendo la ricostruzione data dal giudice dell'esecuzione, e la Corte di appello aveva riformato specularmente la decisione di prime cure, osservando che l'evocata novella legislativa doveva ritenersi aver implicitamente abrogato la L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, u.p., che inizialmente richiamava l'art. 1599 c.c.; - la Corte territoriale, inoltre, qualificata la domanda come opposizione ex art. 615 c.p.c., aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva di O., indicando che l'azione andava proposta,nei confronti di chi agiva "in executivis" e dunque avverso l'iniziativa del custode giudiziario per la liberazione dell'immobile; resistono con controricorso sia il custode giudiziario A.M. sia l'esecutato nel procedimento espropriativo O.S.M., ed entrambi hanno depositato memorie; il Pubblico Ministero ha richiesto la discussione orale e depositato, altresì, memorie scritte; Ritenuto che: con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 155-quater, 337-sexies, 2643,2644,1599 c.c., L. n. 868 del 1970, art. 6, poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che l'immutata ricostruzione nomofilattica del diritto del coniuge assegnatario della casa coniugale come diritto personale di godimento confermava la perdurante vigenza della richiamo alla disciplina locatizia effettuato dalla legislazione speciale divorzile "parte qua" non abrogata, sicché la novella codicistica di cui alla L. n. 54 del 2006, poi superata solo nella collocazione del precetto normativo con il D.Lgs. n. 154 del 2013, aveva espresso una norma superflua ovvero meramente enunciativa dell'opponibilità previa trascrizione nei casi, dunque, in cui questa risultasse necessaria, in coerenza con il bilanciamento tra diritti dominicali e tutela della prole; con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 102 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato nell'escludere la qualità di litisconsorte necessario in capo a O.S.M., trattandosi del debitore esecutato che, peraltro, aveva anche accettato il contraddittorio sulle domande avanzate dalla deducente; con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato nella regolazione delle spese processuali, atteso che la marcata controvertibilità della questione trattata avrebbe dovuto imporre la compensazione delle stesse; Rilevato che: preliminarmente deve disattendersi l'eccezione di carenza d'interesse a impugnare della ricorrente, sollevata dalla difesa di O. argomentando dalla circostanza che, alla data del ricorso, era comunque decorso il lasso temporale di nove anni, limite massimo di opponibilità, in tesi, dell'assegnazione non trascritta, sicché l'originaria opponente era comunque tenuta al rilascio e, di conseguenza, sarebbe cessata la materia del contendere; e' sufficiente osservare che la controversia resta sussistente, non solo sulla regolazione delle spese processuali, facendo stato sulla legittimità, o meno, della permanenza nell'abitazione assegnata per gli anni precedenti allo spirare dei nove anni; il secondo motivo, da esaminare prioritariamente per ragioni logiche, è inammissibile; la parte evoca il consolidato il principio secondo cui l'esecutato è litisconsorte necessario in tutti gli incidenti cognitivi della procedura esecutiva, anche se promossi da terzi estranei (Cass., 01/12/2021, n. 37847, pag. 4, in cui si richiamano innumerevoli arresti a conferma); nel caso, però, la qualificazione in termini di opposizione all'esecuzione per rilascio, data esplicitamente dalla Corte di appello (p. 3 della sentenza impugnata), non è stata oggetto di specifica impugnazione; come pure osservato dal Pubblico Ministero, la cesura in scrutinio presuppone che si trattasse di un'opposizione afferente all'esecuzione per espropriazione, mentre per la Corte territoriale (pag. 4, primo periodo) l'esecuzione in rilievo non è quella nei confronti di O., bensì quella, diversa, nei confronti dell'odierna ricorrente, con la conseguenza che, in questa prospettiva, il distinto esecutato, soggetto al procedimento espropriativo, non risulta parte passiva necessaria del giudizio; la presupposta ricostruzione del Collegio di merito non è messa a fuoco, né motivatamente contrastata, sicché si è formato un giudicato che ne impedisce il riesame, vincolando l'odierno scrutinio anche sui punti, distinti e derivati, del perimetro del litisconsorzio necessario così come dell'appellabilità della decisione di prime cure; in altri termini; più diffusamente esplicativi con il ricorso non viene censurata la suddetta qualificazione della decisione gravata a mente di quanto evincibile dalla giurisprudenza nomofilattica e della normativa, introdotta al momento del precetto per il rilascio (pag. 3 della sentenza in questione), che si sono succedute; infatti, nel periodo di vigenza dell'art. 560 c.p.c., come modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, quale convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 2, comma 3, lett. e), n. 21, come sostituito dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 1, comma 3, lett. i), l'ordine di liberazione andava eseguito con le modalità delle esecuzioni in forma specifica in quanto formalmente qualificato titolo esecutivo (cfr. Cass., 15 aprile 2015, n. 7656), e quindi ad esso poteva opporsi il debitore (o creditore) con l'opposizione agli atti e il terzo (originariamente) estraneo al processo con l'opposizione all'esecuzione (cfr. Cass., 17/12/2010, n. 25654 e Cass., 30/06/2010, n. 15623); la novella apportata dal D.L. 3 maggio 2016, n. 59, art. 4, comma 1, lett. d), n. 01, quale convertito, con modificazioni, dalla L. 30 giugno 2016, n. 119, ha disegnato quell'ordine come atto diverso da un titolo esecutivo e suscettibile di attuazione deformalizzata direttamente da parte degli ausiliari del giudice che lo ha emesso, restando esclusa l'azionabilità delle ordinarie forme dell'esecuzione per rilascio dell'immobile; in questo quadro, il provvedimento giurisdizionale così adottato non diventa anche autonomo titolo esecutivo idoneo a fondare un'autonoma esecuzione per rilascio, come invece affermato dalla Corte di appello nella fattispecie qui in esame, restando per questo un diverso atto dell'esecuzione espropriativa, idoneo a spiegare effetti nei confronti di coloro che sono coinvolti e, dunque, anche del terzo destinatario dell'ordine di liberazione, sicché gli uni e gli altri trovano, in tale contesto, tutela delle loro ragioni davanti al giudice dell'esecuzione nella forma dell'opposizione agli atti, con i correlati litisconsorti necessari; come si vede, quest'ultimo addentellato presuppone la qualificazione del decreto di rilascio e della correlativa opposizione allo stesso, in uno specifico e motivato senso; in mancanza di una simile e motivata censura all'esplicita qualificazione diametralmente opposta data dalla Corte territoriale, nell'ipotesi qui in scrutinio, conseguono le anticipate conclusioni; stante quanto sopra evidenziato, non rileva i non solo la prospettata accettazione del contraddittorio da parte di O.S.M., ma neppure la qualificazione eventualmente data in origine dal Tribunale, che nel ricorso non viene riferita, a differenza di quella pronunciata, come detto, dal giudice di seconde cure (pagg. 10 e 23 del gravame); il primo motivo è infondato; come noto, nel regime anteriore alla novella legislativa introduttiva dell'art. 155-quater c.c., questa Corte ha statuito che ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, nel testo sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 11, applicabile anche in tema di separazione personale a mente dell'arresto della Corte Costituzionale 27 luglio 1989, n. 454, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo strutturalmente data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero - ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto - anche oltre i nove anni (Cass.; Sez. U., 26/07/2002, n. 11096, e succ. conf.); la norma richiamata enuncia che l'assegnazione della casa coniugale "in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente, ai sensi dell'art. 1599 c.c."; e' così prevalsa la tesi favorevole a una sostanziale equiparazione del diritto del coniuge assegnatario a quello del conduttore, nonostante alcuni dissensi anche negli studi, che sottolineavano l'eccezionalità della disposizione normativa concernente la locazione, come tale insuscettibile di applicazione analogica; in quel contesto, ad esempio Cass., 06/05/1999, n. 4529, aveva osservato in precedenza che "l'assegnazione della casa familiare non costituisce certamente un istituto affine alla locazione, e, stante perciò il difetto di ogni espressa previsione, da ciò consegue l'inapplicabilità della norma in tema di opponibilità al terzo delle locazioni infranovennali. L'opponibilità, al terzo acquirente, dell'immobile assegnato è consentita - pertanto - solo in presenza della trascrizione del provvedimento di assegnazione, e, in difetto di quest'ultima, essa non opera non solo per quanto riguarda il periodo successivo ai nove anni dall'assegnazione, ma neanche per quanto riguarda il periodo precedente, non esistendo alcuna eccezione ricavabile dalla normativa vigente che consenta una distinzione in funzione della durata dell'assegnazione stessa. Ne' tal fine di superare le raggiunte conclusioni si può far leva sul richiamo contenuto nella L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6 (come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 11) all'art. 1599 c.c., attesa la genericità del richiamo e l'impossibilità di ritenere sulla sua base l'applicabilità al provvedimento di assegnazione delle disposizioni in tema di locazione"; le Sezioni Unite risposero rimarcando come l'ambiguità del tenore letterale dell'art. 6, comma 6, della legge sul divorzio, era superabile ravvisando "nel richiamo all'art. 1599 c.c., in esso contenuto, la precisa volontà del legislatore di assimilare ai meri fini della trascrizione il diritto dell'assegnatario a quello del conduttore, così attribuendo all'istituto un quoziente di opponibilità ai terzi, anche a prescindere dalla trascrizione", sicché "la limitazione di detta assimilazione al solo piano degli effetti nei confronti dei terzi vale a rendere non rilevanti ai fini in discorso le insopprimibili differenze - che appaiono particolarmente valorizzate nella sentenza n. 4529 del 1999 - in ordine alla natura, alla funzione ed alla durata tra assegnazione e locazione. Ciò vale a dire che il legislatore della riforma, operando un bilanciamento, secondo valori etici e criteri socioeconomici, tra l'interesse del gruppo familiare residuo, e specificamente dei figli minorenni o anche maggiorenni tuttora non autosufficienti, a conservare l'"habitat" domestico, e quello di natura patrimoniale di tutela dell'affidamento del terzo, oltre quello più generale ad una rapida e sicura circolazione dei beni, ha ravvisato come elemento di composizione tra le diverse istanze in conflitto la limitazione nel tempo, in difetto di trascrizione, dell'opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione" (Cass., Sez. U., n. 11096 del 2002, cit.); il quadro di riferimento, tuttavia, è mutato a seguito della riforma sull'affido condiviso; in particolare, l'art. 155-quater c.c., è disposizione in vigore dal 1 marzo 2006, seppure abrogata a far data dal 14 febbraio 2014, del D.Lgs. n. 154 del 2013, artt. 106 e 108, ma con traslazione testuale disposta dalla medesima legge all'art. 337-sexies c.c.; per questo motivo, in particolare, la novella in parola rileva nella fattispecie in esame, in cui l'assegnazione della casa coniugale è stata pronunciata nel 2010; l'evocato articolo, dettato in materia di separazione personale, ha previsto, dunque, che "il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili ed opponibili ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c."; la previsione - applicabile anche all'assegnazione della casa coniugale disposta in sede di divorzio in adesione a Corte Cost. n. 454 del 1989 contiene una semplificazione, posto che la regola sull'opponibilità non è dettata dall'art. 2643 c.c., bensì dall'art. 2644 c.c.; deve desumersene che il legislatore ha per un verso voluto affermare la trascrivibilità dell'assegnazione in parola come regola generale, e al contempo richiamare per implicito la correlata regola di risoluzione dei conflitti dettata dall'art. 2644 c.c.; il conflitto tra il coniuge assegnatario e chi ha ottenuto dal coniuge proprietario un diverso diritto dominicale, anche all'esito di espropriazione, viene così risolto necessariamente in base al criterio della priorità della trascrizione; omesso il richiamo all'art. 1599 c.c., in dottrina si è osservato che il diritto sulla casa familiare è trattato alla stregua di un diritto reale di abitazione; si è notato che per l'art. 155-quater c.c., oggi art. 337-sexies c.c., l'assegnazione della casa coniugale viene meno quando l'assegnatario (che non cessi di abitare stabilmente nella casa) instaura una convivenza "more uxorio" o contrae nuovo matrimonio: effettivamente, la configurazione del diritto dell'assegnatario come un diritto reale di abitazione, personalissimo, ai sensi dell'art. 1022 c.c., ovvero, più semplicemente, come diritto di nuova tipizzazione e però ai fini in questione equivalente, consente di ritenere la norma coerente con una complessiva valutazione anche di compiuta ragionevolezza costituzionale, rispetto alla disciplina locatizia, oltre che idonea a superare lo scrutinio volto a verificare le esigenze di bilanciamento implicate dalla necessaria tutela della prole; l'assegnazione della casa familiare viene ad essere quindi opponibile a coloro che hanno acquistato diritti dopo la trascrizione, adempimento ragionevolmente esigibile anche alla luce del bilanciamento delle tutele familiari e della certezza dei rapporti patrimoniali, salvaguardando l'assegnatario da atti di alienazione o aggressione successivi, ma, nel contempo, e tipicamente, senza che il creditore ipotecario antecedente resti pregiudicato dal provvedimento giudiziale, ex art. 2812 c.c., comma 1; la ricostruzione in parola deve misurarsi con la perdurante e più volte richiamata previsione contenuta nell'art. 6, comma 6, della Legge sul Divorzio; parte ricorrente sostiene, infatti, che questo dato normativo depone per la superfluità dell'inciso di cui all'art. 337-sexies c.c., comma 1, ultimo periodo; parte resistente osserva che non può obliterarsi la portata innovativa della norma più recente; in effetti, del D.Lgs. n. 154 del 2013, art. 98, comma 1, lett. b), incidendo anche sull'art. 6 menzionato, ha abrogato i commi 3, 4, 5, 8, 9, 10, 11 e 12, ma non il comma 6; questo dato, però, risulta già a prima lettura ambiguo, proprio per la contestuale trasposizione, senza modifiche, della norma di cui all'art. 155-quater c.c., nell'art. 337-sexies c.c.; quanto appena constatato è agevolmente spiegabile: il legislatore delegato del 2013, procedendo all'abrogazione ipotizzata, non sarebbe rientrato nel perimetro delegato dalla L. n. 219 del 2012, art. 2: non è stata dunque una scelta confermativa, bensì una via obbligata; la persistenza dell'art. 6, comma 6, della legge sul divorzio dopo la novella del 2006 sulla trascrivibilità dell'assegnazione della casa coniugale, risulta, dunque, priva di valore ermeneutico additivo; e' quindi la lettura di quest'ultima norma che deve misurarsi con la portata dell'introduzione dell'art. 155-quater c.c.; il principio di conservazione delle norme, per cui l'introduzione di queste non può essere sterilizzata sino a privarle di qualsiasi nuova portata concretamente precettiva, induce pertanto, in chiave ricostruttiva, e ferma la richiamata congruenza costituzionale, ad attribuire valore prescrittivo all'articolo in parola; ne deriva la conclusione per cui, dall'introduzione dell'art. 155-quater c.c., l'assegnazione della casa coniugale è trascrivibile come tale e non agli effetti, non più previsti, dell'art. 1599 c.c., e perciò sarà opponibile solo se e quando trascritta; del resto, questa Corte ha già avuto modo di sottolineare che la novella del 2006 ha "completamente mutato il quadro normativo" tenuto in conto dalle Sezioni Unite del 2002: Cass., 20/04/2016, n. 7776 - nell'affermare il principio per cui l'art. 155-quater c.c., va interpretato nel senso che il provvedimento di assegnazione (come quello di revoca) non ha effetto riguardo al creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull'immobile in base a un atto iscritto anteriormente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione stesso, potendosi far vendere coattivamente l'immobile come libero - avvertì che la conclusione non trovava smentita nei precedenti di legittimità inerenti all'interpretazione della disciplina previgente; e specificò, come anticipato, che si trattava di "precedenti che, come quello delle Sezioni Unite del 26 luglio 2002 n. 11096 (su cui (erano) basati), si riferi(vano) ad un quadro normativo oramai completamente mutato" (ovvero a norme inapplicabili al caso, anche "ratione temporis"); ora, se gli altri precedenti significativi più recenti di questa Corte si riferiscono, comunque, ad assegnazioni antecedenti al 2006 (cfr., ad esempio, Cass., 24/01/2018, n. 1744, pagg. 1 e 11), in particolare in tre casi, viceversa, si è trattato di provvedimenti ricadenti nel regime normativo successivo; secondo il più prossimo di questi (Cass., 13/01/2021, n. 377), pronunciato in tema di fallimento, una volta ritenuto improduttivo di effetti nei confronti della procedura L. Fall., ex art. 44, l'atto traslativo di un immobile già oggetto di assegnazione come casa familiare in favore del coniuge o del convivente affidatario di figli minori (o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti), la declaratoria d'inefficacia non travolge il "diritto personale di godimento "sui generis"" sorto in capo all'assegnatario, che, in quanto contenuto in un provvedimento di data certa, si indica suscettibile d'essere opposto, ancorché non trascritto, anche al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione medesima, ovvero, qualora il titolo sia stato in precedenza trascritto, anche oltre i nove anni; la pronuncia: a) aveva, quindi, come principale oggetto del suo scrutinio il seguente diverso tema: se, ritenuto inefficace, nei confronti dell'amministrazione concorsuale, un trasferimento immobiliare, fosse opponibile o meno, al medesimo Fallimento, il diritto dell'assegnatario della casa coniugale in quanto diverso da quello di proprietà oggetto, in suo favore, del successivo negozio traslativo dichiarato inefficace; b) una volta negato il travolgimento dell'assegnazione, a seguito della rilevata inefficacia, analizzando l'opponibilità del diritto di assegnazione si pone (pagg. 10-13) in una chiave prettamente ricognitiva della successione dei regimi normativi e delle addizioni costituzionali, in questa prospettiva concludendo che l'art. 155-quater c.c., "altro non aveva fatto che recepire la disciplina del precedente art. 155 c.c., come integrata (proprio con riferimento all'esigenza di trascrizione del relativo provvedimento per la sua opponibilità a terzi) dalla sentenza della Corte costituzionale n. 454 del 1989" (pag. 13); in quest'ottica, non viene pertanto scandagliato il valore normativo che l'interprete non può omettere di attribuire alla novella prescrittiva contenuta nell'art. 155-quater c.p.c., specie in ragione del mancato richiamo all'art. 1599 c.p.c., tenuto conto del diritto vivente di cui il legislatore deve presupporsi essere stato consapevole; quanto agli altri arresti, come osservato anche in dottrina si tratta di statuizioni che non hanno, in alcun modo e misura, affrontato "ex professo" il tema, limitandosi a richiamare l'orientamento avallato dalle Sezioni Unite del 2002, nel mentre scrutinavano altri seppur connessi temi (come ad esempio fa anche, del tutto incidentalmente, l'ordinanza interlocutoria pronunciata da Cass., 19/10/2021, n. 28871, pag. 6, di rimessione alle Sezioni Unite della diversa questione inerente alla considerazione dell'assegnazione della casa coniugale in sede di divisione); Cass., 11/09/2015, n. 17971 affrontava il caso di un immobile adibito a casa familiare, di proprietà di uno dei conviventi, oggetto di trasferimento dominicale a terzi, laddove l'altro convivente era "non solo collocatario dei figli minori ma anche assegnatario della casa familiare, per provvedimento giudiziale" del 15 novembre 2007; la decisione ha valorizzato il "doppio qualificato titolo detentivo: il primo costituito dalla convivenza di fatto con il proprietario dante causa, e il secondo dalla destinazione dell'immobile a casa familiare, prima della alienazione a terzi, e dalla cristallizzazione di tale ulteriore vincolo mediante l'assegnazione della casa familiare. A tale ultimo riguardo deve osservarsi" - prosegue la motivazione - "che non rileva, nella specie, l'anteriorità del trasferimento immobiliare rispetto al provvedimento di assegnazione dell'immobile a casa familiare disposto dal Tribunale per i minorenni, dal momento che la qualità di detentore qualificato in capo alla ricorrente è pacificamente preesistente al trasferimento immobiliare così come la indiscussa destinazione dell'immobile a casa familiare impressa anche dal proprietario genitore e convivente con la ricorrente e le minori medesime fino al loro allontanamento volontario. La relazione con l'immobile, in virtù di tale destinazione, non ha natura precaria ma, al contrario, è caratterizzata da un vincolo di scopo che si protrae fino a quando le figlie minori o maggiorenni non autosufficienti conservino tale "habitat" domestico. Inoltre la vendita immobiliare è divenuta inefficace nei confronti" della qualificata detentrice, "per essere stata accolta l'azione revocatoria proposta da tale parte... L'accertamento giudiziale sotteso alla revocatoria...postula inequivocamente, in quanto volto a riconoscere che la vendita ha avuto lo scopo di sottrarre una parte del patrimonio del debitore all'adempimento degli obblighi alimentari verso i propri familiari, che l'avente causa fosse a conoscenza della destinazione dell'immobile anche prima della consacrazione di tale destinazione dovuta al provvedimento di assegnazione a casa familiare...per la cui opponibilità infranovennale, peraltro, non è necessaria la trascrizione (S.U. 11096 del 2002)"; il precedente, quindi, apprezza la posizione del convivente "more uxorio" rispetto al bene in termini di detenzione qualificata, prima dalla convivenza e poi comunque dalla destinazione, indicando che tale vincolo si era cristallizzato con l'assegnazione al genitore affidatario; il richiamo alle Sezioni Unite del 2002 è meramente incidentale e rafforzativo, posta la già ritenuta opponibilità della precedente detenzione, saldandosi con la previa conoscenza della stessa da parte dell'avente causa antecedente all'assegnazione, evinta dall'accoglimento della revocatoria proposta dalla detentrice; la decisione non ha dovuto affrontare, perciò, la questione relativa alla natura del provvedimento di assegnazione) né considerare la sua eventuale compatibilità con la legge sull'affido condiviso; Cass., 31/10/2017, n. 25385, evocata da parte ricorrente, si riferisce a un provvedimento di assegnazione del 21 giugno 2006; la pronuncia affronta il differente tema della rilevabilità officiosa dell'eccezione di assegnazione giudiziale della casa in sede di separazione personale, concludendo che la Corte di appello avrebbe dovuto pertanto affrontare la questione "traendo, inoltre, le dovute conseguenze dalla constatazione che il provvedimento suddetto risultava trascritto successivamente al titolo di acquisto..., riconoscendo, così, che l'opponibiltà...non poteva protrarsi oltre il novennio, ex art. 1599 c.c., comma 3"; e' allora chiaro che anche in questo caso si tratta di un richiamo ulteriore rispetto alla ragione decisoria, prospettico e che non affronta i temi qui esplicitamente discussi; d'altro canto, quest'ultimo precedente richiama, riguardo alla precisazione fatta, Cass., 17/03/2017, n. 7007, in cui però si erano rigettate censure di omessa pronuncia e difetto di motivazione, osservando che la decisione gravata aveva attribuito "rilevanza, per un verso, all'ordine delle trascrizioni del provvedimento di assegnazione della casa coniugale e dell'atto di compravendita di quest'ultima (tale che, ai sensi degli artt. 155-quater e 2644 c.c., il primo provvedimento, in quanto trascritto dopo l'atto di compravendita, è risultato non opponibile al terzo acquirente ai sensi del detto art. 155-quater) e, per altro verso, al rapporto di comodato della casa coniugale esistente prima della separazione tra i coniugi, con un'applicazione delle sentenze a S.U. n. 11096/02 e n. 20448/14, favorevole al coniuge assegnatario della casa coniugale, già comodatario, anche nei rapporti con i terzi, in deroga alla regola generale dell'inopponibilità del comodato ai terzi"; in altre parole, il giudice di merito, disattendendo un diverso orientamento interpretativo pure evocato, aveva "dato prevalenza alle ragioni del coniuge su quelle del terzo acquirente, sia pure nei limiti del novennio", non incorrendo in alcuna mancanza di pronuncia o motivazione, ritenute le apprezzabili censure svolte; e' anche qui evidente che non vi è alcuna riaffermazione dell'orientamento espresso dalle Sezioni Unite del 2002 per le fattispecie soggette al regime successivo alla novella del 2006; il terzo motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 360-bis c.p.c., n. 1; secondo la giurisprudenza, costante di questa Corte l'applicazione del generale principio di soccombenza, senza compensazione delle spese legali, non è censurabile davanti al giudice di legittimità, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (cfr., ad esempio, Cass., 04/08/2017, n. 19613); spese compensate per i profili di novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Avv. Antonino Sugamele

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