Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 08/06/2023) 23-06-2023, n. 18028
Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 08/06/2023) 23-06-2023, n. 18028
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARRATO Aldo - Presidente -
Dott. CAVALLINO Linalisa - rel. Consigliere -
Dott. PICARO Vincenzo - Consigliere -
Dott. BESSO M. Chiara - Consigliere -
Dott. ROLFI Federico V. A. - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 6122/2018 proposto da:
A.A., c.f. (Omissis), rappresentata e difesa dall'avv. Luca Pavanetto, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Marco Corradi, in Roma via Valsavaranche n. 46;
ricorrente contro
W.W., c.f. (Omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Giuliano Crivellaro, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Giovanfilippo Ermini, in Roma via Carlo Felice n. 103;
controricorrente avverso la sentenza n. 2608/2017 della Corte d'appello di Venezia pubblicata il 15-11-2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 8-6-2023 dal consigliere Linalisa Cavallino.
Svolgimento del processo
1. Con ricorso ex art. 702 c.p.c. depositato il 6-102014 avanti il Tribunale di Rovigo, A.A. chiese l'accertamento dell'intervenuta usucapione della proprietà della quota della metà dell'immobile censito in Comune di (Omissis), foglio (Omissis), mappale (Omissis) formalmente intestata a W.W..
Si costituì il convenuto W.W., chiedendo, in via preliminare, l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi del fratello C.C., comproprietario per la restante quota della metà dell'immobile oggetto della domanda, e chiedendo nel merito il rigetto della domanda, in quanto l'assegnazione della casa coniugale in uso alla ricorrente, moglie del fratello C.C., prima in sede di separazione e poi in sede di divorzio, aveva comportato mera detenzione qualificata e non possesso.
Il Tribunale di Rovigo con ordinanza depositata il 2-112016 escluse la necessità di integrazione del contraddittorio in quanto la domanda aveva a oggetto solo la quota di comproprietà di W.W. e rigettò la domanda, condannando la ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
2. La Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 2608/2017, pubblicata il 15-11-2017, ha rigettato l'appello proposto da A.A., confermando il rigetto della sua domanda pronunciato dal giudice di primo grado e condannandola alla rifusione a favore dell'appellato W.W. delle ulteriori spese di lite del grado.
La sentenza ha dichiarato che il giudice di primo grado aveva condivisibilmente accertato che la ricorrente aveva avuto prima la disponibilità dell'unità immobiliare in virtù del rapporto di coniugio con il marito C.C., comproprietario del bene unitamente al fratello W.W., e di seguito, dalla separazione, in virtù del provvedimento di assegnazione di cui alla sentenza n. 279/1996 che aveva statuito sulla separazione dei coniugi, che le aveva permesso di permanere anche nella parte di immobile adiacente a quello intestato al solo marito. Ha aggiunto che il Tribunale aveva già correttamente dichiarato che il rapporto di coniugio e il provvedimento di assegnazione non attribuivano al coniuge la qualità di compossessore, per cui il coniuge non poteva usucapire il diritto di proprietà. In ordine alla consistenza dell'immobile nella disponibilità di fatto della ricorrente, la sentenza ha dichiarato che la consulenza tecnica d'ufficio svolta in primo grado aveva confermato che si trattava di porzione di fabbricato adibito a residenza, composta da una stanza al piano terra utilizzata da A.A. e una stanza da letto con adiacente bagno al piano primo funzionalmente collegata con il fabbricato adiacente, seppure tale operazione di fusione sostanziale tra le due unità immobiliari non era stata evidenziata nelle planimetrie catastali per un problema di censimento tra due proprietà diverse. La sentenza ha aggiunto che il convenuto aveva contestato il possesso già dal primo atto difensivo, che l'esistenza di stretti legami tra i comproprietari giustificava la protrazione della disponibilità della porzione immobile oggetto della domanda di usucapione, che il giudice di primo grado aveva correttamente escluso la prova certa dell'esercizio del potere dominicale.
3.Con atto notificato il 6/14-2-2018 A.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre complessi motivi (suddivisi in sub-censure), al quale ha resistito W.W. con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c. e in prossimità dell'adunanza in camera di consiglio si è costituito nuovo difensore per la ricorrente, a seguito di rinuncia al mandato del precedente difensore, mentre il controricorrente ha depositato memoria.
All'esito della camera di consiglio il collegio ha riservato il deposito dell'ordinanza.
Motivi della decisione
1.Il primo motivo è strutturato in cinque punti volti a lamentare la violazione degli artt. 1140, 1144 c.c. e 132 c.p.c..
Al primo punto la censura è rubricata "1.ex art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione ed erronea interpretazione contenuta nella sentenza di primo grado e confermata dal giudice di appello c.c. secondo la quale il coniuge del comproprietario del bene immobile, che pacificamente occupa e utilizza il bene stesso da oltre un trentennio, destinatario medio tempore del provvedimento di assegnazione in sede di emanazione di provvedimenti presidenziali provvisori, deve qualificarsi ab origine come detentore qualificato e non come possessore ad usucapionem". Al secondo punto la censura è rubricata "2.censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell'art. 132 c.p.c. per omessa motivazione in riferimento all'accertata sussistenza della qualifica ab origine di detentore, anzichè di possessore, da parte del coniuge assegnatario del bene immobile che goda e utilizzi il bene stesso già da oltre un ventennio". Al terzo punto la censura è rubricata: "3.censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione dell'art. 1140 c.c., in relazione al ritenuto sussistente onere in capo all'odierna ricorrente di provare l'esercizio del potere dominicale sull'immobile, pur a fronte della non contestata, anzi pacifica, utilizzazione ed occupazione del bene immobile da oltre un trentennio". Al quarto punto la censura è rubricata: "4.censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione ed erronea interpretazione accolta dal giudice di primo grado e confermata dal giudice di appello dell'art. 1144 c.c. secondo la quale l'esistenza di stretti legami tra i comproprietari e il soggetto che gode e occupa l'immobile conduce a escludere, pur a fronte di una utilizzazione protratta nel tempo, che il godimento sia configurabile quale possesso utile ad usucapire". Al quinto punto la censura è rubricata: "5.censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell'art. 132 c.p.c. per avere il giudice d'appello omesso di esporre sia pur concisamente le ragioni di fatto e di diritto sottese alla decisione di rigetto del motivo di appello enucleato in atto di citazione in appello sub parte terza paragrafo D (da pag. 17 a pag. 20) in riferimento all'accertata insussistenza in capo alla odierna ricorrente del possesso utile ad usucapire ed alla sussistenza di fatti impeditivi del possesso ex art. 1144 c.c.".
La ricorrente dichiara che il convenuto non aveva mai contestato che ella esercitasse da oltre trent'anni il potere di fatto corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà e non aveva mai addotto alcun argomento a sostegno della tesi che la stessa, la quale pacificamente aveva occupato per la stessa durata l'immobile, non potesse considerarsi posseditrice ab origine dell'immobile medesimo. Lamenta che la Corte d'Appello abbia omesso di spiegare le ragioni per le quali la ricorrente, quantomeno per la quota di un mezzo di proprietà di W.W., non potesse essere qualificata come posseditrice, da quando aveva iniziato a occupare l'immobile, alla stregua del marito, nonchè aveva omesso di spiegare perchè tale qualificazione spettasse solo al marito. Lamenta, altresì, che la Corte d'Appello non abbia esaminato i vizi ex artt. 112 e 101 c.p.c. che essa ricorrente aveva sollevato nell'atto di appello con riguardo alla pronuncia del giudice di primo grado sugli stretti rapporti tra le parti che avevano giustificato la protrazione della disponibilità della cosa.
1.1. La censura è inammissibile nella parte in cui, sotto l'apparente deduzione di violazioni ex art. 360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c., è finalizzata a introdurre in causa una ricostruzione dei fatti diversa da quella eseguita in modo conforme nei due gradi del giudizio di merito e, perciò, non più passibile di impugnazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in forza della previsione dell'art. 348-ter, comma 5, c.p.c. da applicare ratione temporis alla fattispecie.
La sentenza della Corte territoriale ha appurato, confermando l'accertamento svolto dal giudice di primo grado, che A.A. aveva avuto la disponibilità materiale dell'unità immobiliare in virtù del rapporto di coniugio con il marito, comproprietario del bene unitamente al fratello, e poi, dalla data della separazione, in forza del provvedimento di assegnazione nella causa di separazione dei coniugi e, poi, di divorzio. Nè la sentenza di primo grado nè la sentenza di appello contengono un accertamento sul fatto che A.A. avesse avuto il possesso dell'immobile del quale il marito era comproprietario con il fratello durante la convivenza matrimoniale, cioè sul fatto che ella avesse avuto un potere di fatto corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. Gli argomenti della ricorrente, in sostanza, si fondano sulla convinzione dell'esistenza dei presupposti per applicare la presunzione di cui all'art. 1141, comma 1, c.c.; al contrario, è acquisito in causa che A.A. aveva cominciato a utilizzare l'immobile in quanto moglie del comproprietario C.C., senza che risulti, e sotto questo profilo il motivo difetta anche di specificità, che la ricorrente avesse allegato di avere avuto sull'immobile un compossesso con il marito, o un possesso che escludesse quello del marito comproprietario (il quale, proprio in quanto comproprietario, poteva godere dell'immobile con il fratello in forza della previsione dell'art. 1102 c.c.).
Pertanto, non essendo escluso il possesso del marito comproprietario, la moglie non poteva essere che detentrice in forza dell'art. 1140, comma 2, c.c., quale soggetto attraverso il quale il possessore esercitava il suo possesso (cfr. Cass. sez. 2 14-2-2012 n. 9786, in motivazione, per l'esclusione che il rapporto di coniugio sia idoneo a configurare compossesso della casa familiare a favore del coniuge del possessore); sarebbe, perciò, stata necessaria l'interversione della detenzione in possesso ai sensi dell'art. 1141, comma 2, c.c., che la ricorrente neppure allega. Ne consegue che è infondata la censura di cui al punto 3, in quanto basata sull'erroneo presupposto che l'utilizzazione dell'immobile da parte della moglie comportasse esercizio del possesso; non può essere imputato alla sentenza impugnata neppure quanto lamentato con le censure 1 e 2, di non avere ritenuto che la ricorrente avesse il possesso ad usucapionem fin da prima dell'assegnazione dell'immobile in sede di separazione e di non avere motivato per quale ragione la qualificazione fosse ab origine di detentrice.
Sono inammissibili anche le censure di cui ai punti 4 e 5, in quanto neppure la ricorrente sostiene che i provvedimenti di assegnazione della casa coniugale in fase di separazione e divorzio fossero tali da mutare la precedente detenzione in possesso. Al contrario, nel momento in cui la moglie ha avuto la disponibilità dell'immobile in forza del provvedimento giudiziale, la sua disponibilità dell'immobile trova titolo in quel provvedimento e non può integrare possesso utile ai fini dell'usucapione (cfr., per tutte, Cass., sez. 5, 16-3-2007, n. 6192 e Cass., sez. 5, 15-3-2019, n. 7395, per l'affermazione del principio che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale riconosce all'assegnatario un diritto personale atipico di godimento).
2.Il secondo motivo è rubricato "1.censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell'art. 101 c.p.c. che pone il divieto di 'decisioni a sorpresà che si fondano su di un argomento e/o fatto nuovo introdotto officiosamente dal giudice di primo grado, mai dedotto dal resistente in quel giudizio e su cui non si è nemmeno instaurato il contraddittorio in riferimento alla ritenuta sussistenza di atti di tolleranza ex art. 1144 c.c. impeditivi dell'acquisto del possesso in capo alla odierna ricorrente. 2.censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell'art. 112 c.p.c. per aver il giudice d'appello fondato la decisione su di una questione non rilevabile d'ufficio ma solo su eccezione di parte da cui deriva l'erroneo accertamento circa la sussistenza di atti di tolleranza ex art. 1144 c.c. impeditivi dell'acquisto del possesso in capo alla odierna ricorrente".
2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto con esso si tende a confutare la portata di argomentazioni meramente rafforzative, ovvero che non spiegano concreta influenza sulle ragioni della decisione e che, perciò, la ricorrente non ha interesse a impugnare (cfr. Cass., sez. 1, 8 giugno 2022 n. 18429, Cass., sez. 1, 10 aprile 2018 n. 8755).
La sentenza ha ritenuto che la ricorrente aveva avuto la disponibilità dell'immobile prima in forza del rapporto di coniugio con il comproprietario e poi in forza del provvedimento di assegnazione in sede di separazione e divorzio; soltanto "a ulteriore integrazione", testualmente a pag. 4-5 punto 6.3 lett. c), la sentenza ha fatto riferimento agli "stretti legami dei comproprietari con la ricorrente" e all'"intensità del vincolo" come elemento tale da "giustificare la protrazione della disponibilità della porzione immobiliare". Quindi, seppure si escludesse tale riferimento, rimane il dato che la disponibilità dell'immobile trovava titolo prima nel rapporto di coniugio e, poi, nel provvedimento di assegnazione, senza che neppure risulti che, dalla data del venir meno degli effetti del provvedimento di assegnazione giudiziale, fosse decorso il termine necessario all'usucapione.
3.Il terzo motivo è rubricato "censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 ovvero ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell'art. 132 c.p.c. per avere il giudice d'appello omesso di esporre sia pure concisamente le ragioni di fatto e di diritto sottese alla decisione di rigetto del motivo di gravame enucleato in atto di citazione in appello sub parte terza paragrafo C (da pag. 10 a pag. 17) in riferimento alla ritenuta identità tra l'immobile oggetto di causa in proprietà tra i fratelli B.B. e C.C. (già mappale (Omissis) del (Omissis) catasto terreni del comune di (Omissis) ed ora (Omissis) del (Omissis) catasto fabbricati del comune di (Omissis)) e l'immobile in esclusiva proprietà del sig. C.C., oggetto dei provvedimenti di assegnazione in favore della signora A.A. nei giudizi di separazione e divorzio (catasto fabbricati comune di (Omissis) foglio (Omissis) mappale (Omissis))".
La ricorrente evidenzia che l'immobile oggetto di assegnazione alla moglie in fase di separazione era stato il mappale 7 di esclusiva proprietà del marito W.W. e l'immobile oggetto della domanda era il (Omissis); aggiunge che dalle visure e mappe catastali risulta che le unità immobiliari erano distinte e autonome ed evidenzia che nel 1994 C.C. vendette l'immobile di cui al (Omissis) facendo riferimento, nell'indicarne i confini, anche al (Omissis); rileva che non vi è prova dell'epoca in cui è stata aperta la porta che ha condotto a quella che il consulente d'ufficio aveva definito "fusione sostanziale" dei due immobili, per cui mancherebbe il riscontro probatorio che, alla data del primo provvedimento di assegnazione, la situazione di fatto corrispondesse a quella descritta dal consulente d'ufficio.
3.1. Il motivo è inammissibile, dovendosi fare applicazione del principio secondo il quale è denunciabile per cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dalle risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta dei motivi, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile (cfr., per tutte, Cass. sez. un., 7-4-2014 n. 8053 e 8054).
Nella fattispecie la sentenza impugnata ha esposto le ragioni per le quali ha ritenuto l'immobile unico, evidenziando che la consulenza tecnica d'ufficio aveva confermato che oggetto della domanda era una porzione di fabbricato funzionalmente collegata con il fabbricato adiacente, aggiungendo che la fusione sostanziale tra le due unità immobiliari non era stata evidenziata nelle planimetrie catastali per il fatto che le intestazioni erano diverse. In questo modo la sentenza rispetta il "minimo costituzionale", in quanto esprime in modo chiaro il concetto secondo il quale l'immobile era sempre stato di fatto un'unica casa di abitazione, a prescindere dalle risultanze catastali. Le censure della ricorrente, lungi dal dimostrare che la motivazione sia mancante, sono finalizzate a sostenere che la conclusione sull'unitarietà dell'immobile sia stata erronea o carente nell'accertamento del momento in cui si era venuta a creare, così chiedendo una rivalutazione del materiale probatorio inammissibile in sede di legittimità.
4. In conclusione il ricorso è rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente deve essere condannata alla rifusione, a favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
In considerazione dell'esito del ricorso, ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese di lite del grado, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art. 13 comma 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2023